Con la definizione “formazione manageriale” ci si riferisce a un “insieme di attività volte allo sviluppo di abilità comportamentali sinergiche, utili soprattutto alle figure professionali che rivestono un ruolo di conduzione”.
Si spazia da competenze tecniche – quali diritto, economia, contabilità, organizzazione, gestione d’impresa, del rischio, di flussi e di progetti – alle famigerate soft skills che contemplano un reticolo di abilità estremamente variegate, quali l’acquisizione di una solida autostima, lo sviluppo dell’intelligenza emotiva, la gestione dello stress, l’attitudine alla leadership, alle pubbliche relazioni, alla negoziazione, all’ascolto, alla presa di decisioni e – non da ultimo – allo smart working.
Tutti ambiti in cui la comunicazione gioca un ruolo determinante, nel senso che - se sfruttata consapevolmente – ha il potere di generare un effetto domino dai risvolti sorprendenti. Risvolti evidenziati da un numero sempre più crescente di ricerche che mettono l’accento su tratto distintivo che accomuna le vision di molte realtà aziendali: uno stile di conduzione vincente sul piano relazionale genera un clima positivo ed esercita un impatto diretto sulla performance dell’intera organizzazione.
Un letimotiv ormai sdoganato, ma non privo di zone d’ombra! Perché se, da un lato, gli executive dell’era moderna hanno smesso di fare “orecchie da mercante” di fronte ai molteplici valori aggiunti connessi alla sfera comunicativa, dall’altro, i consulenti nella formazione aziendale si ritrovano spesso spiazzati, quando sono alle prese con la progettazione di un nuovo training. I più navigati sanno che, creare le condizioni ottimali per trasmettere delle abilità in larga parte innate, nasconde molto più di un semplice inghippo e che le insidie disseminate lungo il cammino dello sviluppo del personale non si contano.
Dopo aver parlato dei rischi legati a una definizione poco chiara degli obiettivi, passiamo in rassegna la SECONDA TRAPPOLA e la SECONDA SFIDA con cui sono confrontati tutti i professionisti che strutturano percorsi di leadership destinati ai manager: FARE DI UN'ERBA UN FASCIO!
La trappola?
Supporre che gli iscritti alla formazione manageriale presentino delle caratteristiche che li rendono molti simili, sorvolando sui molteplici fattori che li rendono unici ed irripetibili.
Es: “Lavorano in banca e sono tutti capi, quindi il loro identikit è più o meno lo stesso!”.
In realtà, spesso, i partecipanti provengono da settori diversi, all’interno dei quali non ricoprono le stesse funzioni gerarchiche. Ma non è tutto. Le differenze si estendono anche al profilo personale degli executive che, normalmente, hanno un’età compresa tra i 30 e i 50 anni e vantano livelli di formazione distinti: solo alcuni hanno degli studi accademici alle spalle, altri si sono fatti le ossa direttamente sul campo senza mai prendere parte a un training di management aziendale. Un fattore, quest’ultimo, che la dice lunga anche in termini di differenze sul piano motivazionale. Last, but not least, occorre considerare l’eventualità di trovarsi confrontati con professionisti che riflettono valori culturali e/o religiosi molto lontani dai nostri. Il rischio, per il formatore, è quindi quello di trovarsi trasmettere un groviglio di ricette preconfezionate che, nella migliore delle ipotesi, potrebbero (forse?) aiutare i più volonterosi ad ottenere una promozione al grado di abili esecutori. Peccato che la leadership sia tutta un’altra storia!
La sfida?
Favorire un clima affiatato all’interno del quale gli executive possano concedersi il lusso di tradurre le tecniche di leadership in strumenti operativamente spendibili sul mercato del lavoro.
Per tagliare questo traguardo, è fondamentale:
- Mettersi nei panni dei partecipanti e cercare di rispondere nel modo più esaustivo possibile alla domanda seguente: “Se fossi uno di loro, cosa mi aspetterei da questo corso di management?”.
- Offrire loro l’opportunità di esprimersi liberamente, svolgendo un ruolo attivo nell’identificazione delle loro aree di sviluppo e toccando con mano i benefici connessi alle pratiche di lavoro cooperativo.
- Prestare particolare attenzione alla progettazione dell’itinerario formativo che deve tenere conto delle specificità di ciascuno, non solo a livello di preconoscenze, ma anche in termini di stile cognitivo, settore professionale di riferimento, posizione ricoperta e responsabilità gerarchica.
Nel prossimo articolo passeremo in rassegna la TERZA TRAPPOLA e la TERZA SFIDA con cui sono confrontati tutti i professionisti che strutturano percorsi di leadership destinati ai manager. Siete curiosi di saperne di più? Restate sintonizzati!
Vi siete persi l'articolo sulla PRIMA TRAPPOLA e sulla PRIMA SFIDA? Niente panico! Cliccate su questo link: definire obiettivi poco chiari!
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