Con la definizione “formazione manageriale” ci si riferisce a un “insieme di attività volte allo sviluppo di abilità comportamentali sinergiche, utili soprattutto alle figure professionali che rivestono un ruolo di conduzione”.
Si spazia da competenze tecniche – quali diritto, economia, contabilità, organizzazione, gestione d’impresa, del rischio, di flussi e di progetti – alle famigerate soft skills che contemplano un reticolo di abilità estremamente variegate, quali l’acquisizione di una solida autostima, lo sviluppo dell’intelligenza emotiva, la gestione dello stress, l’attitudine alla leadership, alle pubbliche relazioni, alla negoziazione, all’ascolto, alla presa di decisioni e – non da ultimo – allo smart working.
Tutti ambiti in cui la comunicazione gioca un ruolo determinante, nel senso che - se sfruttata consapevolmente – ha il potere di generare un effetto domino dai risvolti sorprendenti. Risvolti evidenziati da un numero sempre più crescente di ricerche che mettono l’accento su tratto distintivo che accomuna le vision di molte realtà aziendali: uno stile di conduzione vincente sul piano relazionale genera un clima positivo ed esercita un impatto diretto sulla performance dell’intera organizzazione.
Un letimotiv ormai sdoganato, ma non privo di zone d’ombra! Perché se, da un lato, gli executive dell’era moderna hanno smesso di fare “orecchie da mercante” di fronte ai molteplici valori aggiunti connessi alla sfera comunicativa, dall’altro, i consulenti nella formazione aziendale si ritrovano spesso spiazzati, quando sono alle prese con la progettazione di un nuovo training. I più navigati sanno che, creare le condizioni ottimali per trasmettere delle abilità in larga parte innate, nasconde molto più di un semplice inghippo e che le insidie disseminate lungo il cammino dello sviluppo del personale non si contano.
Dopo aver parlato dei rischi di definire obiettivi poco chiari, fare di un’erba un fascio e trascurare i pregiudizi, passiamo in rassegna la QUARTA TRAPPOLA e la QUARTA SFIDA con cui sono confrontati tutti i professionisti che strutturano percorsi di leadership destinati ai manager: SOTTOVALUTARE LA RESISTENZA AL CAMBIAMENTO!
La trappola?
Cullarsi nell’illusione che – comprendere l’efficacia delle tecniche di leadership proposte dal consulente aziendale – sia sufficiente per spingere gli executive a interiorizzarle e ad introdurle stabilmente nel loro contesto professionale.
In realtà, il passaggio dalla teoria alla pratica avviene in modo tutt’altro che immediato. Il motivo? Uno dei più antichi e ridondanti di sempre: l’avversione al cambiamento. Un’onda che, fondamentalmente, avremmo l’ambizione di surfare, ma che – a conti fatti – spesso ci spinge a battere in ritirata e a correre a gambe levate sul bagnasciuga. All’asciutto. Al sicuro. In salvo.
Spesso i partecipanti ai corsi di formazione manageriale si dichiarano inclini al cambiamento, se non addirittura entusiasti dello stesso (“Il lavoro routinario uccide la creatività!”, “Amo le novità!”, “Stravolgere il mio modus operandi mi servirà da stimolo!”). Poi, per svariati motivi, faticano a sovvertire la loro zona di comfort e si aspettano che siano sistematicamente gli altri a modificare le loro abitudini (“Ho sempre fatto così!”, “Cambiare sarebbe bello, ma…”, “Questa nuova procedura è innovativa, ma è inapplicabile!”). Legittimo: ciò che si conosce è rassicurante, ciò che non si conosce è intriso di ansia e di rischio. Questa dinamica, certamente paradossale, ma tipica di tutti gli esseri umani, ricorda un aforisma americano che recita: “L’unica persona che vuole essere cambiata è il bambino quando si è fatto la pipì addosso”, evidenziando che i proverbi, vera voce dell’umanità, celebrano la stabilità e la forza delle abitudini: “Chi lascia la via vecchia per la nuova, sa quel che lascia, ma non sa quel che trova!”, “Squadra che vince non si cambia!”…
La sfida?
Resistere alla tentazione di stimolare un senso di urgenza nelle persone in formazione, facendo leva su sentimenti depotenzianti (“Se non introdurrete queste tecniche nella vostra pratica professionale, le vostre valutazioni trimestrali ne risentiranno!”). Quando la paura viene utilizzata per forzare un cambio di rotta, le persone si adattano nel breve termine, ma i “comportamenti desiderati” tendono a disperdersi nel tempo. Come sosteneva Mark Twain: “Non si possono gettare le abitudini dalla finestra: bisogna accompagnarle con le buone giù per le scale”.
La chiave di volta? Favorire il confronto costruttivo, ponendo agli executive delle domande che li spronino a pensare proattivamente:
- Come posso introdurre questa nuova procedura, adattandola efficacemente al mio contesto professionale?
- Come posso stimolare i membri del mio team a toccare con mano i vantaggi legati alle tecniche che ho appreso durante il training?
- Come posso comportarmi, quando si verificherà il tal imprevisto e se mai dovessi imbattermi nel tal ostacolo?
- Come posso tenere a bada le emozioni negative che, inevitabilmente, sperimenterò, quando sarò tentato di inserire il pilota automatico?
Le risposte a questi (ed altri) interrogativi guideranno i partecipanti alla formazione manageriale a calarsi nell’ottica del “Posso farlo”, stimolandoli a surfare sull’onda del cambiamento, anziché subirne passivamente gli effetti. Provare per credere!
Nel prossimo articolo passeremo in rassegna la QUINTA TRAPPOLA e la QUINTA SFIDA con cui sono confrontati tutti i professionisti che strutturano percorsi di leadership destinati ai manager. Siete curiosi di saperne di più? Restate sintonizzati!
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