Con la definizione “formazione manageriale” ci si riferisce a un “insieme di attività volte allo sviluppo di abilità comportamentali sinergiche, utili soprattutto alle figure professionali che rivestono un ruolo di conduzione”.
Si spazia da competenze tecniche – quali diritto, economia, contabilità, organizzazione, gestione d’impresa, del rischio, di flussi e di progetti – alle famigerate soft skills che contemplano un reticolo di abilità estremamente variegate, quali l’acquisizione di una solida autostima, lo sviluppo dell’intelligenza emotiva, la gestione dello stress, l’attitudine alla leadership, alle pubbliche relazioni, alla negoziazione, all’ascolto, alla presa di decisioni e – non da ultimo – allo smart working.
Tutti ambiti in cui la comunicazione gioca un ruolo determinante, nel senso che - se sfruttata consapevolmente – ha il potere di generare un effetto domino dai risvolti sorprendenti. Risvolti evidenziati da un numero sempre più crescente di ricerche che mettono l’accento su tratto distintivo che accomuna le vision di molte realtà aziendali: uno stile di conduzione vincente sul piano relazionale genera un clima positivo ed esercita un impatto diretto sulla performance dell’intera organizzazione.
Un letimotiv ormai sdoganato, ma non privo di zone d’ombra! Perché se, da un lato, gli executive dell’era moderna hanno smesso di fare “orecchie da mercante” di fronte ai molteplici valori aggiunti connessi alla sfera comunicativa, dall’altro, i consulenti nella formazione aziendale si ritrovano spesso spiazzati, quando sono alle prese con la progettazione di un nuovo training. I più navigati sanno che, creare le condizioni ottimali per trasmettere delle abilità in larga parte innate, nasconde molto più di un semplice inghippo e che le insidie disseminate lungo il cammino dello sviluppo del personale non si contano.
Dopo aver parlato dei rischi di definire obiettivi poco chiari, fare di un’erba un fascio, trascurare i pregiudizi e – last, but not least – sottostimare la resistenza al cambiamento, passiamo in rassegna la QUINTA TRAPPOLA e la QUINTA SFIDA con cui sono confrontati tutti i professionisti che strutturano percorsi di leadership destinati ai manager: LASCIARE LE COSE A METÀ!
La trappola?
Supporre che le tecniche di leadership proposte nel corso di management attecchiranno da sole con il susseguirsi delle stagioni. Basterà non avere fretta. Attendere fiduciosi che, giorno dopo giorno, la motivazione dei collaboratori si impenni e le loro resistenze al cambiamento si affievoliscano.
Purtroppo, l’esperienza insegna che il trascorrere del tempo, preso come elemento a sé stante, non garantisce l’effettiva applicazione di nessun tipo di strumento esposto in nessun tipo di training aziendale. Anzi, spesso, ha l’effetto contrario, nel senso che spinge nel dimenticatoio anche quella minima parte di conoscenze innovative che i partecipanti più volonterosi avevano, forse, deciso di tenere per buone.
Intendiamoci: è corretto concedere agli executive qualche settimana di adattamento per assimilare le nuove strategie e per testarle nella pratica, così come è altrettanto utile che continuino ad aggiornarsi, massimizzando i benefici legati alla formazione continua. Ma non è sufficiente. Manca ancora un tassello. Un elemento senza il quale tutti questi sforzi – per quanto nobili – risulteranno vani: il coaching individuale.
La sfida?
Mettere tutti i collaboratori che hanno preso parte al corso di management nella condizione di passare dalla teoria alla pratica in un clima sereno, all’interno del quale abbiano l’opportunità di sentirsi accolti, liberi di sbagliare, di cadere, di rialzarsi, di provarci, di riprovarci e – last, but not least – di tagliare i loro traguardi. Tutto questo sotto la guida di un coach certificato.
L’obiettivo è quindi quello sostenere gli executive anche al termine della formazione manageriale, personalizzando i contenuti affrontati nel training su loro richiesta: in base alle loro esigenze e alle sfide con cui sono confrontati nella loro quotidianità.
In quest’ ottica, il compito del coach sarà quello di affiancarli ogni volta che ne sentiranno la necessità, guidandoli a dissolvere dubbi ed incertezze, a gestire efficacemente situazioni complesse, a prendere decisioni tempestive e – naturalmente – a tradurre le tecniche di leadership in strumenti operativamente spendibili nella loro realtà professionale.
L’idea di concedere un simile benefit a così tanti collaboratori per massimizzare la loro performance, vi sembra esagerata? Assurda? Inapplicabile? Non avete tutti i torti!
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